Pensavamo fosse una Quaresima come le altre. L’abbiamo immaginata, com’è in realtà, un cammino. Ma come potevamo immaginare che fosse un cammino così avventuroso?
Navighiamo a vista, giorno per giorno, senza sapere dove andremo a finire. Anzi, non camminiamo proprio, non siamo mai stati così fermi come adesso, chiusi in casa, peggio della clausura monacale.
All’improvviso ci siamo riscoperti fragili. Pensavamo che la scienza e la tecnica ci avessero resi capaci di dominare la natura e gli eventi. È bastato un esserino dal diametro 600 volte più piccolo di quello di un capello per arrestare la corsa pazza con la quale ci eravamo lanciati verso un progresso che credevamo senza limiti. Adesso tutto è bloccato.
E il nostro cammino?
Va ripensato.
Forse più che un cammino il nostro era una corsa senza una meta, un girovagare sedotti da mille attrattive che come luci lampeggianti s’accendono qua e là e ci abbacinavano.
È proprio il momento di fermarsi e chiederci dove stiamo andando, dove vogliamo andare.
Forse potremmo cominciare proprio col mettere a fuoco la meta.
Può esserci un viaggio senza una meta? Più che un viaggio sarebbe un girovagare a caso. Che squallida e povera una vita senza una meta. È la meta che dà senso al viaggio. Più essa s’annuncia bella e lontana, più accende il desiderio e fa bruciare dall’ansia di raggiungerla. Senza una meta non si parte nemmeno. E la meta deve continuare a brillare dinnanzi anche quando si è già intrapreso il cammino: è la sola che lo motiva e lo sostiene.
Forse ci siamo smarriti fermandoci alle tappe, confondendole con la meta. Ci siamo dimenticati che la nostra meta è l’incontro con Dio. Non è Lui che ci attende al termine del viaggio? «Verremo rapiti insieme nelle nubi – leggiamo nel primo scritto del Nuovo Testamento –, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore (1 Tess 4, 17).
Forse non lo conosciamo abbastanza e allora ci viene da pensare: che noia stare “sempre” con qualcuno che non conosciamo.
E pensare che il cammino è fatto proprio per scoprirlo, per conoscerlo, per innamorarsi di Lui.
I più vecchi di noi ricordano ancora la domanda del catechismo: “Per qual fine Dio ci ha creati?”, e la risposta, semplice semplice: “Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra in Paradiso”.
Più lo conosciamo più lo amiamo, più lo amiamo più lo conosciamo. Allora cresce il desiderio di andare da lui e di “stare sempre con lui”. Forse sarà lui a venirci incontro, perché anche lui ha un gran desiderio di incontrarsi con noi: siamo la sua meta!
L’ultima pagina della Bibbia si conclude proprio con questa invocazione:
“Vieni!”. E Gesù risponde: “Sì, vengo presto!”. E ancora “Vieni, Signore Gesù» (Ap 22, 12.17.20).