Caro Mister COVID – Io voglio “stacce”
Caro Mister COVID, io non ti conosco e non ho alcun desiderio di conoscerti. In casa famiglia non sei entrato. Avrai pur bussato, ma non ti abbiamo aperto la porta. Tuttavia trentasei pollici di schermo televisivo che trasmettono numeri di contagi e morti tutti i giorni, mettono ansia e tristezza. Ti insinui silenziosamente nelle relazioni umane e si può dire nella parte più bella: il contatto fisico, la prossimità. Farti un quadro esaustivo di quali potrebbero essere le conseguenze distruttive della tua ipotetica, ma possibile, presenza tra noi, in casa famiglia, è un pensiero che mi preoccupa, nel senso che preventivamente mi tiene occupato, perché siamo unici e tanti, diversi e distinti l’uno dall’altro, forti nel dare e nel ricevere, ma fragili per condizione umana. Insomma disabili. Tutte le misure restrittive, necessarie per bloccare la tua azione malefica, non son servite per questa popolazione fragile e bisognosa di supporto. Chi non ha tutte le carte per poter giocare, ha per natura una grande carica resiliente. Gli otto ospiti della casa in diverso modo e in circostanze più disparate hanno saputo convivere con la malattia, con ricoveri psichiatrici, con la morte dei genitori. Queste esperienze adattive hanno donato ad ognuno gli anticorpi necessari per rispondere bene agli attacchi di panico che la tua presenza ha provocato altrove.
Certamente anche noi abbiamo sperimentato in modo veloce e inatteso qualche cambiamento delle nostre abitudini quotidiane: un assurdo e paradossale distanziamento. Abbiamo sempre creduto che il contatto fisico, la carezza sul volto fosse la terapia provvidenziale che ha spuntato le unghia di Tommaso, salvandoci da graffi quali firme indelebili impresse già al suo arrivo. Insomma quello che per diversi anni era ormai un aspetto scontato della nostra presenza di vita-con-vita in casa famiglia, un elemento così prezioso e caro da farne un dogma della nostra vocazione, ora più che mai ci sembra un vero e proprio pericolo pubblico, oltre che uno sconvolgimento, un cambio di prospettiva. Glielo racconti tu a Tommaso che la carezza oggi è pericolosa? E come parlare a Marco di distanziamento e dialogare con lui che è un sordomuto e che per 20 anni in casa famiglia, ignaro del Linguaggio Italiano dei Segni, era ormai divenuto esperto in labiale e in linguaggio affettivo? La mascherina chirurgica, altruistica quanto si voglia, limita questa comunicazione con lui. Ma tu
queste dinamiche le conosci bene, vero mister Covid? Non posso negare che sei falso ed imprevedibile. Sì, falso perché come ogni male sai nasconderti bene nella tua asintomaticità. Prima di ogni cambio di programma in casa famiglia accettiamo il lento periodo di apprendimento di chi fa percorsi a piccoli passi. Piccoli passi che danno sicurezza e stabilità. Su questo bisogno è costruita la nostra quotidianità. La novità è possibile ed accettabile se attraversa il tempo di consolidamento quotidiano. Invece l’interruzione improvvisa della socialità fatta di strada, di piazza, di comunità parrocchiale, di luoghi ludici ha tolto la possibilità di integrazione, di sentirsi parte di un tutto. Ma lo sai che non tutti gli ospiti hanno compreso fino in fondo cosa sta accadendo in giro? Per questa piena comprensione ci vuole tempo. Sì, ancora il fattore tempo che si dilata. Nove fogli di calendario, nove mesi dell’anno volati via per qualcuno degli ospiti, i più fortunati, quelli che hanno ancora un residuo di legame familiare. E la Pasqua è scivolata! A quando? Passerà anche questo Natale senza il vero abbraccio materno per Marco? Egli che ha una stretta scansione del tempo legata ad eventi ciclici: non si fa in tempo a smontare il presepe che già vuole gli addobbi carnevaleschi, poi immediatamente l’uovo di Pasqua e il costume da bagno per il mare. Ansia, paura, rabbia e tristezza mischiati a fiducia, gioia e serenità. Queste cose tu le conosci, caro mister Covid, ma ti sfugge il significato più profondo, perché sono i vissuti, no non i tessuti, più interni.
Sei riuscito ad allontanare e a mettere in cassa integrazione anche la nostra Marta, l’educatrice ricca di fantasia e colori. Perché? Lei poteva essere una porta, un passaggio per te? Sì, è vero! Purtroppo poteva essere anche un pericolo vagante per il padre già sottoposto a chemioterapia.
Ma la comunicazione visiva non ci è mancata: la video chiamata. Ecco il momento domenicale più bello: i volti amici, familiari in quel pezzettino di cielo che qualcuno ha chiamato “cielolulare”.
Ora mi viene di stuzzicarti e farti morire di rabbia. Ho capito benissimo il tuo punto di forza, caro mister Covid. Questo tuo punto di forza diverrà per te il punto di debolezza e per me il modo per farti crepare. Tu agisci di nascosto, dal di dentro i tessuti dell’anatomia umana, per crearti un posto dentro il nostro corpo. Sappi che l’uomo non va solo di corpo. E’ l’anima che ti manca. E’ quello il tuo punto debole. Qui io ho deciso di “stacce”, si direbbe alla romana. Sì, nella buona e nella cattiva sorte ho deciso si starci per sempre. E’ importante continuare ad essere presente per lavare, riparare, leggere, cucinare, sostenere, pitturare, suonare e cantare, riscoprire la bellezza del fare insieme.