La sabbia del deserto del Sahara mi è rimasta nel cuore. Quando abbiamo messo piede all’aeroporto di El Aaiún, il vento ci aveva già scompigliato i capelli, portando un caldo insolito per l’inizio dell’autunno e i sogni degli abitanti di una terra arida che non è mai stata inospitale.
In soli 10 giorni ho vissuto una delle esperienze che più profondamente mi ricordano chi sono e il bisogno di Dio in mezzo alla vita. Dal deserto mi ha colpito come la sabbia si lasci muovere docilmente dal vento, come si lasci plasmare dall’acqua che cade ogni mattina e la cristallizzi per formare rocce che capricciosamente sembrano rose, come nel silenzio dell’immensità del tramonto l’uomo alzi gli occhi al cielo aspettando la salvezza, la terra della promessa. E nella notte il fuoco, che riunisce coloro che hanno condiviso con gioia il gusto del tè, amaro, dolce e delicato, sotto un cielo le cui stelle sono innumerevoli.
Gli Oblati hanno capito cosa significa che Dio rimane con gli uomini e sono stati presenti con il popolo Saharawi, in mezzo a questo deserto, per quasi 70 anni. Da loro hanno imparato l’ospitalità di chi condivide ciò che ha con il pellegrino. Con loro lottano per rendere presente il Regno di Dio in mezzo a una cultura profondamente credente. Per loro sono la parola di speranza e la carità in azione. In mezzo a loro la vita rinasce in ogni Eucaristia animata dai canti dei cristiani che si riuniscono come Chiesa in cammino.
E accanto a chilometri e chilometri di deserto, si apre l’oceano, che inghiotte tante vite rischiate in un viaggio dove la speranza è vanificata. I corpi giacciono in attesa della resurrezione della carne in un cimitero che gli Oblati visitano e rispettano. Evangelizzare i poveri significa soprattutto essere con loro, al loro fianco, nella vita e nella morte. Evangelizzare in un mondo dove la parola di Cristo non può essere pronunciata e dove Cristo parla attraverso la vita degli Oblati che si donano ogni giorno, sostenuti dalla nostra preghiera e dalla nostra offerta quotidiana. A Maria di Nazareth affidiamo la loro vita e la vita di queste persone.
Cristina Jimenez