INCONTRO CIIS – ROMA

007_gruppoIl 25 novembre si è svolto a Roma un incontro della Conferenza degli Istituti Secolari della Diocesi di Roma.
L’incontro è stato animato dalle COMI Anna Maria, Paola e Ileana.
Ecco come la coordinatrice della diocesi di Roma presenta il contributo scritto da Paola e Ileana che di seguito vi proponiamo insieme ad alcune foto:

Il percorso che questo anno desideriamo effettuare, come già ben noto, è guardare al Sinodo dei giovani per prepararci e viverlo in pienezza, e il tema di sabato era proprio: “Guardiamo insieme il Sinodo dei Giovani: i giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.
L’incontro è stato guidato da Annamaria Gentili – Comi. La sua testimonianza entusiasta e bella con il contributo scritto di Paola Santoro ed Ileana Chinnici, hanno coinvolto l’assemblea che era  arricchita da alcune ragazze “curiose” di conoscere la Consacrazione Secolare.

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002_gruppo FotoConvegno1 005_don Tonino Panfili

 

“I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”

di Paola Santoro ed Ileana Chinnici, con il contributo del laboratorio di animazione giovanile e vocazionale COMI 

Non è facile disporre di una visione allargata sui giovani di oggi. Generalmente la nostra esperienza riguarda una nicchia, uno spaccato di giovani che, più o meno consapevolmente, hanno già fatto una scelta. Sono giovani che frequentano la Chiesa e gli oratori, che partecipano più o meno attivamente alla vita delle loro parrocchie, spesso legate alla famiglia carismatica dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, da cui origina la spiritualità del nostro Istituto.

Sono sicuramente ragazzi che cercano nelle comunità parrocchiali o nelle associazioni religiose un punto di riferimento, una bussola in grado di dare un senso alla loro vita e le risposte a domande profonde che li sollecitano. Sono ragazzi pronti a mettersi in gioco ed in cammino, se possibile in gruppo, per il naturale bisogno di aggregazione tipico della loro età, e per poter meglio condividere e comunicare dubbi e speranze. Allo stesso tempo, non sono giovani che si accontentano! Non bastano cene o momenti di gioco condivisi, ma ci richiedono incontri di spessore. Sono consapevoli della loro ricerca e per questo alla Chiesa chiedono dei riferimenti, per essere accompagnati nel cammino verso una piena e profonda realizzazione di sé. Di superficiale, c’è già il mondo in cui vivono!

Le parole, quindi, che potrebbero riassumere la nostra esperienza sono: ricerca – profondità – mettersi in gioco.

Questi termini hanno accompagnato le nostre due ultime esperienze estive.

Ad Aix-en-Provence (Francia) i giovani che abbiamo accompagnato hanno vissuto un’esperienza di tipo più vocazionale, mentre il gruppo che è stato in Senegal ha vissuto un’esperienza di tipo più missionario.

Ad Aix hanno partecipato una cinquantina di ragazzi provenienti da tutta Europa, tra cui una quindicina di italiani. Abbiamo trascorso insieme una settimana, camminando sui passi di S. Eugenio de Mazenod, fondatore degli Oblati di Maria Immacolata. I giovani, appartenenti a diverse realtà Oblate, hanno dimostrato fin da subito il desiderio di approfondire la propria esperienza di fede, ma anche quello di comunicare quotidianamente degli aggiornamenti ai rispettivi gruppi, via sms, Facebook o Instagram, per poter coinvolgere più persone possibili. Oggi la dimensione digitale è imprescindibile, quando si tratta del mondo giovanile. Certamente, per loro la comunicazione è rapida ed immediata, e permette di raggiungere subito i più lontani, ma questo non deve trarre in inganno o far pensare ad una superficialità di rapporti. I vari gruppi pensavano insieme cosa scrivere, ne discutevano e decidevano insieme.

Anche questa è stata un’occasione di riflessione.

I ritmi sono stati intensi, in un alternarsi di momenti di riflessione comunitari e personali, momenti di preghiera e di condivisione in gruppi. Siano andati fisicamente sui luoghi di S. Eugenio, ricordandone l’infanzia, i dubbi e le paure, i sogni e i progetti. È stata proposta la sua fede, ma sono state presentate anche le difficoltà da lui vissute.

I ragazzi hanno saputo mettersi in gioco e vivere con grande intensità i vari incontri. Tutti i momenti di riflessione personali sono stati sfruttati, sia per cogliere se stessi, sia per confrontarsi con gli adulti. Si sono interrogati ed hanno interrogato noi adulti. Nonostante le differenze di lingua e cultura, si è registrato un sottofondo comune che accomunava tutti i giovani, tanto che fin da subito i vari gruppi linguistici si sono fusi e mescolati.

Queste esperienze hanno dimostrato come la pastorale vocazione e la pastorale giovanile debbano sempre puntare in alto, incentrandosi fortemente sul Vangelo e chi lo ha incarnato. Le vite dei Santi, con i loro momenti di luce, ma anche con quelli di buio, aiutano i ragazzi ad immedesimarsi e cogliere come le loro domande rientrino in quelle che da sempre l’uomo si fa. I Santi con il loro esempio incoraggiano, sostengono e mostrano un cammino diverso da quello che, invece, viene proposto ai giovani dal mondo. È la radicalità del messaggio che sembra attirare sempre più i giovani, che cercano testimoni autentici.

Papa Francesco dice “Dove c’è vita, fervore, voglia di portare Cristo agli altri, sorgono vocazioni genuine”.

Allo stesso tempo, i ragazzi chiedono di essere investiti di responsabilità all’interno dei vari gruppi. Non vogliono considerarsi come semplici fruitori passivi di un servizio, ma vogliono partecipare in modo attivo alla realizzazione degli incontri e farsene per primi promotori. Uno dei primissimi frutti visibili dell’esperienza di Aix, è stata la nascita di un piccolo gruppo di incontro in provincia di Palermo, fortemente voluto da due delle ragazze venute in Francia: “Vogliamo fare qualcosa per gli altri giovani” hanno detto, tornando nel loro quotidiano. Sicuramente li attendono prove e difficoltà, ma dipenderà dalla loro tenacia e testimonianza il perseverare in questo intento di avvicinare altri giovani all’esperienza della fede.

Ovviamente a questo desiderio di ricerca da parte dei giovani deve corrispondere un impegno da parte degli adulti. È più facile organizzare una pizza insieme, piuttosto che un momento di riflessione! Servono adulti pronti a camminare con i ragazzi, disposti a stare, ad ascoltare e a “perdere tempo” con loro. È bene però che siano al contempo formati, in modo da poter approfondire le diverse tematiche e problematiche che i giovani pongono, da saper suscitare in loro domande e incoraggiarli nelle scelte, senza atteggiamenti giudicatori e inquisitori, ma con chiarezza ed autorevolezza (ben diversa dall’autoritarismo!)

Insomma, giovani pronti a mettersi in gioco richiedono adulti pronti a fare altrettanto.

È sempre con questo spirito, “mettersi in gioco”, che nel luglio di quest’anno è partita una dozzina di giovani del Movimento Giovanile Costruire, legato agli Oblati di Maria Immacolata, provenienti da tutta Italia, per vivere un’esperienza missionaria di tre settimane in Senegal. Il contatto con una realtà profondamente diversa dalla loro, in termini di cultura, clima, cibo, lingua, ha messo a nudo le loro fragilità, spesso frutto dell’ambiente sociale e familiare di oggi che a volte “diseduca” ad aggirare le difficoltà, ma ha anche evidenziato le loro potenzialità: i giovani hanno scoperto di essere “capaci di” molte cose. La vita nei villaggi, la povertà di risorse, ma soprattutto, l’aver vissuto nelle case dei loro coetanei senegalesi, li ha aiutati a maturare una visione diversa della vita e della fede. Sono entrati in crisi, di fronte ad un contesto che si è presentato ben più duro di come lo immaginavano, ma “sono stati al gioco”: si sono stancati, si sono lamentati, si sono a volte anche scoraggiati, ma si sono anche superati nell’affrontare queste difficoltà. Si sono scoperti poveri e bisognosi, di fronte a chi era materialmente più povero e bisognoso di loro, ma in fondo più ricco di vitalità, di generosità, di accoglienza. E si sono messi nell’atteggiamento di “imparare” da loro. Anch’essi sono tornati con la voglia di “donare” quanto hanno ricevuto e condividere quanto hanno vissuto, e stanno andando in giro per l’Italia, raccontando la loro esperienza e sensibilizzando altri giovani e adulti sul tema della missione. Non solo, le difficoltà incontrate in Senegal hanno messo a nudo il loro vissuto personale. Uno dei servizi più importanti, nell’averli accompagnati in missione, è stato quello di ascoltarli. Soprattutto le ragazze, hanno cercato un confronto, hanno tirato fuori le loro ferite, i loro dubbi, i pesi che portano, la loro situazione personale, spesso complessa e difficile, che tale rimaneva anche dopo il colloquio, ma alleggerita da un sorriso, da una nuova prospettiva, dal sapere di poter contare su un sostegno in più. Per questo, ci sembra importante sì cercarli nei momenti critici, e far sentire la propria vicinanza, ma soprattutto esserci per loro, trasmettere loro che ci siamo e che possono contare su di noi, sul nostro affetto, sulla nostra preghiera, sul nostro aiuto, anche concreto.

Sicuramente, i giovani ci lanciano una sfida: quella di essere prima di tutto credibili come cristiani, per rispondere alla loro ricerca di punti di riferimento. Ci chiedono di dedicare del tempo a loro, di essere attenti all’ascolto delle loro storie, del loro vissuto, senza giudizi e pregiudizi. Ci chiedono però anche di essere incoraggiati a fare delle scelte, in un mondo che invece li blocca con paure, incertezze, instabilità, indifferenza, come mostra il crescente numero dei giovani NEET (Not in Employment, Education and Training), sempre più numerosi nel nostro territorio. Questi giovani spenti, che hanno perso fiducia ed entusiasmo, stanno spesso rinchiusi nel mondo virtuale del web, perché è l’unico spazio nel quale essi esistono e si sentono protetti. Noi purtroppo non siamo ancora abbastanza attrezzati per evangelizzare questo spazio, e perdiamo molte opportunità di offrire contatti sani e positivi, che possano contrastare le insidie e le trappole nascoste nel web.

Per la nostra esperienza, è fondamentale stare accanto ai giovani e fare da “puntello”, da “ringhiera” a cui appoggiarsi di tanto in tanto nel saliscendi del loro cammino esistenziale. Questo servizio diventa indispensabile quando si tratta di fare scelte importanti come quelle vocazionali. Sappiamo bene che anche questo è un meccanismo che si inceppa facilmente e a più livelli. Come renderlo più fluido? Innanzi tutto, abbiamo visto che è importante aprire le nostre case ed il nostro cuore ai giovani, offrendo amicizia e dialogo, offrendo spazi dove possono sentirsi accolti e a loro agio, dove sanno di essere ascoltati, dove ciò che dicono è ritenuto degno di attenzione. È fondamentale ridare ai giovani la dignità della loro condizione, fargli percepire che sono importanti e che hanno delle potenzialità uniche ed irripetibili, che possono essere artefici del loro futuro e che sono chiamati ad una vita piena e realizzata.

Sappiamo anche, per esperienza, che il lavoro coi giovani è un lavoro assolutamente a fondo perduto. Guai se ci facciamo i conti in tasca o se miriamo a logiche di proselitismo vocazionale: in un’ottica puramente pragmatica diremmo che non ne vale la pena, che è uno spreco di tempo e di energie. In un’ottica evangelica, invece, è un lavoro prezioso ed insostituibile, che richiede di avere l’atteggiamento instancabile del seminatore, che getta seme a fondo perduto, ovunque. In questo senso, il Documento preparatorio del Sinodo ci dice una cosa importante: tutti i giovani hanno diritto ad essere ascoltati e accompagnati, tutti, “nessuno escluso”. Questo ci spinge ad una maggiore audacia che dovremmo acquisire nell’avvicinarli. Anche quelli con cui ci sembra che sia tempo perso parlare, perché sono lontani mille miglia dal Cristianesimo, anche quelli vanno avvicinati, anche a loro si può offrire un ascolto pieno di affetto e di rispetto, per far comprendere che ci stanno a cuore. I frutti di questa semina, solo Dio li conosce. Non ci appartengono, noi non ne avremo nulla in cambio, anzi forse ne avremo pure delle conseguenze sgradevoli – ma le assumiamo, nella consapevolezza che siamo strumenti e che uno strumento, se usato, inevitabilmente si logora e si danneggia, altrimenti vuol dire che non serve.

Un ultimo aspetto che ci sembra importante sottolineare è che a livello formativo  è  importante che in primo luogo il lavoro di formazione venga svolto in équipe educative e poi che  per generare alla fede bisogna lavorare molto sulla formazione culturale degli adulti e su un educare all’altezza dei tempi. In questo senso, possiamo dire che  i giovani sono il punto di approdo del lavoro, la sfida educativa è diventata un invito a razionalizzare le forze, ad orientarle in modo intelligente a servizio del linguaggio, della letteratura, dell’arte intese come modalità da comprendere per stare con loro. Un adulto per essere significativo deve farsi compagno di viaggio dei giovani: se invece svolge solo il ruolo di mediatore, con le sue ricchezze da trasmettere, finisce per non interessare. Per questo è molto importante lavorare sulla comprensione che gli adulti hanno dei giovani. Ci vogliono adulti umili e lungimiranti, che si rendano capaci di camminare con loro e di dialogare con i sogni dei giovani. Si ricostruisce, e si costruisce, solo a partire dalla relazione con le persone. Si tratta di cambiare forse  il modello educativo, molto legato ad una dimensione localistica e spazio-temporale di un certo tipo, a favore di una visione completamente diversa, in cui ciò che diventa determinante è la relazione significativa, la capacità di coinvolgere i giovani, di renderli e di rendersi compagni di viaggio. Questo implica una conversione nei nostri modi di intendere la pastorale giovanile, più che dare continue risposte dobbiamo passare alla sempre più affinata arte di suscitare domande…

In questo senso il Sinodo serve per interrogarsi anche sulla creatività del Vangelo per i giovani, un Vangelo che porta gioia, la bellezza dell’essere cristiani, che interpella la loro libertà e una Chiesa che sia credibile e attuale, come dice papa Francesco. In questo, ognuna di noi è coinvolta, nessuna esclusa.

 

 

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