Altre esperienza in tempo di Covid 19

Abbiamo aggiunto alle esperienze precedenti il racconto delle nostre sorelle dell’Oasi del Plata!
E trovate queste esperienze anche nelle versioni in Spagnolo e in Francese

 

Dopo l’esperienza di Daniela ecco altre 6 racconti su come i membri del nostro istituto vissuto i mesi scorsi in piena emergenza Covid 19.

Hanno condiviso il loro vissuto l’Oasi del Plata, Anna, Cristina, Pina, Mimmina e Rosalba

Dall’Oasi del Plata  (Argentina e Uruguay)

Anche in America Latina si è presentato il COVID19 e dal 13 marzo abbiamo cominciato con l’isolamento. In Argentina si vive la fase 1, mentre in Uruguay siamo passati alla fase 2, con una situazione di “quasi normalità”, cioè con la ripresa di alcune attività scolastiche e commerciali; dal prossimo 19 giugno anche con la celebrazione presenziale della messa.

Come tutti voi, abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di lavorare, d’incontrarci, di espressione e di vicinanza agli altri. È stato un buon allenamento per incontrare l’equilibrio tra il non perdere i punti forza e adattarsi alle novità. Per questo abbiamo usato tutti i mezzi a disposizione per comunicare tra noi, realizzare il nostro incontro di Oasi, per arrivare perfino, grazie alla disponibilità dei nostri fratelli Oblati, a fare il primo ritiro dell’anno, in collegamento anche con Monica, per mezzo di una video telefonata.

Alcune di noi hanno continuato il loro lavoro per mezzo di video telefonate con gli alunni e famiglie, riunioni di programmazione virtuali ecc.

WhatsApp Image 2020-06-18 at 19.23.37L’isolamento non ha impedito di partecipare ad alcune iniziative di solidarietà. Così Veronica e Isabel hanno preso parte alla “olla popular” (La pentola popolare, comunitaria). Di cosa si tratta? Per la mancanza di risorse economiche, la gente si è organizzala spontaneamente, in differenti zone, mettendo in comune ciò che ognuno aveva per preparare un piatto caldo per le famiglie del quartiere. A questa iniziativa hanno collaborato parrocchie, istituzioni e anche lo stato e altri enti, con la distribuzione di pacchi di viveri.

D’altra parte, in questa settimana, Monica si è trasferita al Refugio San Eugenio, per mantenere una presenza e sostituire P. Sergio OMI, che è stato chiamato ad assistere la sua mamma ammalata gravemente.

A causa di tutto questo, non si è potuto avviare il Progetto del Comi ONG, nonostante le volontarie siano già pronte e desiderose di iniziare.

Ancora una volta abbiamo imparato un’altra lezione, o forse solo rafforzato certe convinzioni. L’amore non si ferma così come la vita. L’amore genera sempre vita e può contagiare per dare speranza, forza e significato a ogni piccolo gesto. Abbiamo anche imparato la necessità dell’altro, dell’incontro che anima e sostiene.  Voglia il Signore, che da questa esperienza, possiamo rinnovarci e sapere apprezzare e vivere tutti quei valori che danno colore e sapore all’unità e alla comunione a cui tutti aspiriamo, riflesso sempre della comunione con Dio.

Oasi del Plata

Anna

WhatsApp Image 2020-06-14 at 21.22.15Se torno con la mente al 21 febbraio, mi sembra siano passati non 3 mesi, ma 3 anni!

Mi sento (come tutti noi) profondamente cambiata… Sospesa.. Ho vissuto ogni evento senza viverlo. Il 21 febbraio eravamo al paese, in Umbria per dei lavori alla casa. Sembrava tutto lontano e con i muratori dicevamo: “qui non arriverà, lo fermeranno a Milano!”

Invece è sceso! Eccome! E anche al paese ha mietuto le sue vittime importanti.

Al rientro a Roma, il 10, per tutti  lockdown . I medici che abbiamo in famiglia sono molto allarmati, raccomandano ai 9 nipoti di non uscire, non incontrarsi..

Inizia a crescere l’ansia per i figli. Marta è con suo marito a Firenze, si capisce subito che avranno problemi economici; restano senza lavoro e per pagare l’affitto si buttano a fare, con fatica, i raider. Come genitori siamo orgogliosi del loro ottimismo e spirito di adattamento, ma ci chiediamo : quale futuro li aspetterà? Mariana, che vive da sola, decide di rientrare con noi per starci più vicino, visto che siamo soli, perché Luca è in Madagascar come volontario con Educatori Senza Frontiere e siamo contenti che sia al sicuro laggiù dove il covid non è arrivato.

Quando tornerà, a giugno, sarà tutto finito, pensavamo!

Invece domenica 15 marzo arriva una video chiamata, con sorelle incluse, e ci chiede un consiglio su cosa deve fare: chiudono il paese e hanno 48 ore per uscire. Non sappiamo cosa dire, ma poi l’organismo, con il quale è partito, decide per tutti: è stato prenotato il volo per il rientro, con arrivo il 18 mattina a Roma.

Scatta una preoccupazione incredibile: il viaggio, l’aereo che potrebbe non partire, come andarlo a prendere, dove portarlo, dove fare l’isolamento? Le notizie che riusciamo ad avere sono ancora confuse e solo mentre lui è già in volo arrivano disposizioni ministeriali più precise per tutti i ragazzi italiani che stanno rientrando da tutto il mondo.

In aeroporto sono attesi fuori con guanti e mascherine, una sola persona in macchina, spostamento consentito Fiumicino-domicilio, poi 14 giorni di isolamento… Ma come si fa questo isolamento con 4 persone in 60 mq?  Forse sarebbe meglio lasciarlo solo da qualche altra parte? Forse sarebbe opportuno che la sorella tornasse a casa sua?

Ma come si fa ad accogliere così un ragazzo già rattristato di essere stato “strappato via” da una esperienza così importante senza avere avuto la possibilità di salutare e concludere il suo lavoro? Decidiamo di rimanere tutti a casa con lui, la quarantena la faremo tutti insieme e per responsabilità sociale nessuno dei 4 uscirà (gli amici ci lasceranno la spesa al cancello). Almeno saremo insieme e ce lo abbracceremo con gli occhi!!

Quei 14 giorni sono stati durissimi, spazi ridotti, lui in camera, valige fuori della porta per essere disinfettate, racconti africani ascoltati dalla porta, marito chiuso in camera per faticoso smart working, figlia in tinello a fare collegamento per la scuola (è maestra ).

La mia quotidianità è completamente saltata… Anche pregare è impossibile. Per dare meno fastidio possibile al resto della famiglia, passo il mio tempo in bagno (sanificato 4 volte al giorno) portando cucito e cellulare. Credo di aver inviato centinaia di messaggi., per sentire tutti vicini e far sentire a tutti di non essere soli..

Dal bagno abbiamo dato corpo alla carità, organizzato la raccolta buoni spesa, coordinato la solidarietà dei vicini, continuato ad assicurare almeno un panino ai senza tetto del quartiere. Abbiamo aiutato chi non riusciva da solo, a compilare moduli on line per bonus.

Il 1 aprile (fine isolamento) abbiamo festeggiato in famiglia un “abbraccio day” e ci siamo potuti finalmente sedere insieme vicini sul divano, per una foto che esprimesse a Luca il bentornato!

Il 16 aprile la nascita di Irene ci  regala un “soffio di normalità”: due giovani genitori vicini di casa, ed entrambi pugliesi, sono soli a Roma a gestire questa nascita in tempo speciale con una bimba di 3 anni a casa. Mi  trasferisco per tre giorni a casa loro permettendo al papà di stare con la mamma e la nuova nata in ospedale. La primogenita resta con me. È brava e obbediente, ma la sera per dormire… Solo un abbraccio può consolarla e.. dormiamo appiccicate sul divano! (alla barba del “brutto virus”)

Adesso si torna lentamente ad uscire e mi chiedo: Ho vissuto in questo periodo? Ho sprecato tempo? Ho rafforzato o indebolito la mia fede? Non lo so..

Certo ho imparato : che tutto è precario, che niente è scontato, che quello che ho è prezioso, che le persone sono più buone di quanto sembra, che i giovani hanno più risorse di quanto crediamo, che poter andare a messa è più bello di quanto percepivo, che con mio marito dobbiamo amarci per quello che siamo, che Dio è sempre e comunque con noi.

Credo di aver imparato anche a prepararmi a morire.

Non ho idea di come sarà domani, mi sembra tutto difficile e preoccupante. Ma è il 18 maggio e so che il “mio papa” penserà a tutti noi.

Anna  C.

 

 

Cristina

WhatsApp Image 2020-06-14 at 18.32.26Quando sarò più grande sarò una dottoressa. Questo desiderio è stato sempre nel mio cuore e Dio nella sua Provvidenza l´ha reso reale. Ed è una cosa seria: quando sei un dottore lo sei sempre. La Divina Provvidenza mi ha dato la grazia di assistere tanti malati che sono stati infettati da questo strano e nuovo essere vivente così piccolo, invisibile che è dappertutto in questo mondo globale.

Quando sono tornata da Roma, il 4 marzo, non sapevo che quello che stava già accadendo nella zona rossa del nord dell´Italia sarebbe accaduto a Madrid pochi giorni dopo. Noi che sappiamo tanto di tante cose abbiamo scoperto che non sapevamo nulla di questo COVID, almeno all´inizio di questa pandemia. Pur in questa ignoranza, ma col suggerimento della prudenza, ho deciso di restare a casa per quattordici giorni dopo essere stata in contatto con tante persone nel mio viaggio in Italia per partecipare  al convegno COMI. Questo isolamento è stato veramente una preparazione per la missione che Dio mi chiedeva.

Da un paio di mesi avevo deciso lasciare il mio lavoro come medico nel centro per gli anziani delle suore a Pozuelo, per preparare un esame a fine gennaio per ottenere la specializzazione in geriatria. Avendo superato l’esame e stavo aspettando l’ingresso all’ospedale, ma nello stato di allarme si è fermato tutto. Quindi, stavo a casa, nel mio salone, passando il tempo di quarantena e vedevo in tv la sofferenza di tanti malati, lo sforzo dei miei colleghi, la stanchezza di tanti accanto ai malati, le incertezze dei così detti esperti, le insicurezze di tanti figli di anziani ricoverati, la solitudine di tanti vecchietti nelle case di riposo, e mi sorgeva nel cuore la preghiera di Isaia: “Eccomi, manda me”. Ho parlato col mio direttore spirituale e anche con la mia formatrice COMI per trovare la luce e la forza di dire sì in questo cammino, per me nuovo, della consacrazione secolare dentro il mondo, e il mondo allora era COVID.

Una mia collega che lavorava in un centro pubblico per gli anziani mi ha telefonato per dirmi che stava a casa sua ammalata col coronavirus, e mi ha detto che avevano bisogno di un dottore nel suo centro di 500 anziani dove rimaneva soltanto una sua collega perché gli altri si erano infettati. Il primo giorno, quando sono entrata nella zona che noi chiamiamo “sporca” dove c’erano gli anziani che erano sospetti di COVID, appena attraversata la porta col mio vestito d’astronauta per proteggermi, ho fatto il segno della croce, e ho fatto questa piccola supplica: Vengo con te, Gesù, portami nella tua mano, Gesù. Maria dammi la forza di restare in piedi accanto alla Croce del tuo Figlio, nelle croci di questi i tuoi figli.

Ero consapevole che entravo in un vespaio, venivo con le mie paure, col mio desiderio di dare una mano e soprattutto di stare con loro. Ho potuto stringere la mano e dare conforto a tanti morenti, sussurrando un’Ave Maria e chiedendo Misericordia a Dio, per loro e per tutti noi. Ho provato a dare una parola di speranza, di coraggio a quelli che stavano lottando con tutte le loro forze, a volte con più di cent’anni, per andare avanti nell’avventura della vita. Ho chiesto la parola allo Spirito per comunicare per telefono ai figli che il loro papà o la loro mamma non c’era più. E quando arrivavo a casa mi venivano al cuore tante volte le parole del Salmo: “Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge… la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza, non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno, la peste che vaga nelle tenebre”.

Ho tante cose nel mio cuore e soltanto colla luce della grazia di Dio sarò capace di capire come sono stata testimone della sua salvezza per tanti, sia nella vita sia nella morte. Non posso trovare più parole, perché potrebbero ridurre la trascendenza di questa esperienza di grazia. Ma devo ringraziare Dio per essere ancora in  salute. Devo ringraziare tanti fratelli e sorelle che ci hanno sostenuto, me e  tanti altri, con la preghiera e la loro offerta. Non sono un eroina, nemmeno un supereroe. Soltanto ho provato e provo ogni giorno, mentre lavoro lì, ad essere nuova Maria di Nazareth, in questo nostro rischioso, prezioso e nuovo Nazareth dove dobbiamo abituarci a vivere e fare l`annuncio di Gesù Vivente e Risorto.

Cristina J.

 

 

Mimmina

È arrivato all’improvviso… non lo conoscevamo, il suo nome… COVID19.

Mi  sono venute subito in mente le parole del vangelo “Vegliate, perché non sapete né il giorno né l’ora”. Quindi vigilanza, vivere in pienezza, attivamente, e questo … stando in quarantena. Mi sono chiesta come vivere in pienezza questo tempo di coronavirus da consacrata e missionaria? E lì un’altra Parola “la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Vivendo da sola, mi è sembrato come se Dio mi volesse chiamare in disparte per ricentrarmi in Lui, per far nuovo il dialogo tra noi due, e farmi creatura nuova, e  questo ha comportato e comporta tanto lavoro sia per me e sicuramente anche per Dio. La pandemia, inoltre, mi ha raggiunta in un momento in cui la mia salute non era al massimo, e questo mi ha fatto scoprire il messaggio per me… ti fermo anche perché hai bisogno di recuperare forza anche fisicamente.

Ci siamo fermati tutti, chiusi in casa, ma non si è fermata la vita, non si è fermata la mia crescita spirituale e umana, non si è fermata la mia scelta missionaria, il mio essere Comi, i miei rapporti, il mio apostolato, la mia testimonianza, il mio impegno professionale.

Così sto sperimentando una  modalità nuova di insegnare, non solo perché c’è la Didattica a Distanza (DaD) e mi incontro con alunni e colleghi in piattaforma, ma perché ho sentito che come insegnante dovevo “rendere ragione della speranza che è in me”, trasmettere ai miei  alunni, gioia, speranza, positività, dovevo incoraggiarli, stimolarli, ascoltarli… Oggi posso dire che ci siamo conosciuti di più nonostante i tanti e grandi limiti e difficoltà della DaD. Con qualche classe prima delle vacanze di Pasqua ci siamo scambiati gli auguri mangiando insieme dolci, biscotti e nutella… Mi sembrava importante far vivere questa nuova modalità di fare scuola alleggerendo le paure, le ansie, facendo cogliere la bellezza di questa novità delle videolezioni per arrivare quasi a farle desiderare. Poi come coordinatrice di una classe, ho sperimentato la creatività di questo incarico vissuto a distanza e mi sono sentita con i genitori molto di più che nella scuola in presenza, risolvendo alcuni casi difficili.

La vita non si è fermata neppure per il mio servizio ecclesiale come responsabile della CIIS della regione Sicilia. Dopo un primo momento di riflessione, di sospensione e attesa, soprattutto per dare spazio e priorità all’impegno professionale, abbiamo iniziato a riprogrammare la vita per costruire percorsi nuovi. Così già abbiamo stabilito un incontro on-line come Consiglio e lo Spirito Santo, che è un esperto di novità di vita, ci ha già dato dei suggerimenti per camminare insieme, anche se a distanza, durante l’estate.

Il coronavirus non ha fermato la mia vita, anzi l’ha resa ancora più piena, mi ha costretta a fare salti mortali, ad imparare in fretta le nuove tecnologie, a vivere in pienezza la mia secolarità, a mettere in movimento la creatività, a vivere l’obbedienza allo Stato e alla Chiesa, a vivere aspetti nuovi della povertà, ad arricchire il mio voto di castità rivitalizzando il rapporto con Dio e con tanti fratelli e ad esprimere il mio voler bene, il mio essere vicina, con una telefonata, un messaggio, un saluto dal balcone…

È un tempo tosto, un tempo missionario, una nuova terra di missione, dove ti si chiede di non fermarti alla stanchezza, alle tante difficoltà, alle paure, agli interrogativi senza risposta ma di essere presenza silenziosa, a volte invisibile, ma presenza che coglie il positivo e contribuisce a costruire unità, speranza, gioia in mezzo all’umanità che Dio mi affida. E questo ha comportato e comporta anche rialzarmi continuamente, ricominciare, vedermi nuova, mettermi in ascolto di Dio e  del  mondo e sentire che non sono sola, ho tanti fratelli e sorelle compagni di cammino pronti a mettersi in discussione per far nascere il nuovo di Dio nella storia dell’umanità.

Mimmina P.

 

 

 

Pina

Dal 5 marzo scorso, da quando cioè è stata dichiarata la chiusura nazionale delle scuole in Italia vivo in casa, impegnandomi e rispettare le regole sanitarie e civili di questi giorni. All’inizio avevo pensato di raggiungere la mia famiglia a Messina, ma nel dubbio di essere anch’io un probabile portatore asintomatico del coronavirus, ho subito abbandonato quest’idea. I mie genitori anziani (papà a maggio 84 anni e mamma 76) stanno bene e sono “custoditi” dal mio gemello Giuseppe che abita nella casa accanto alla loro.

Come sapete io vivo in affitto nella casettina di proprietà di Luciana e Piera (socie del Comi ONG): un palazzetto con giardino appena fuori le mura di San Giovanni in Laterano; oltre me, Luciana e Piera e due loro ospiti al piano di sopra, al secondo piano vive una giovane famigliola con due bimbi di 6 e 4 anni, e accanto la madre di lui: insieme ci stiamo aiutando con la presenza concreta e l’aiuto vicendevole … allietati dai giochi dei due bimbi.

Già dal giorno dopo la chiusura nazionale delle scuole, l’Istituto scolastico Fondazione Cristo Re, comprensivo di plessi dal nido ai licei, dove lavoro come maestra di una quarta elementare, si è attivato tempestivamente: abbiamo preparato subito un Piano di Studi Straordinario, programmato quotidianamente attraverso il registro elettronico; sono state attivate due piattaforme web, una per la videoconferenza con la classe e le riunioni dei docenti, l’altra per far circolare le comunicazioni di vario tipo tra noi docenti e il coordinamento didattico e tra questo e l’amministrazione della Fondazione scolastica; ogni docente di posto comune come la sottoscritta deve coordinare il lavoro delle docenti c.d. specialiste e stare in contatto mail con la rappresentate delle famiglie di classe; oltre a tutto questo, la comunicazione via whatsapp è ovviamente costante e continua. Insomma un lavoro tutto da scoprire, imparare e inventare, che assorbe tutta la giornata: attualmente ho un orario di 20 ore settimanali in videoconferenza con la mia classe, poi il tempo per la programmazione telematica e riunioni con i docenti. Non avrei mai pensato a 52 anni di diventare da un giorno all’altro e senza preavviso una maestra on line!

Ovviamente la parte bella di tutto ciò sono gli alunni: ogni mattina dal lunedì al venerdì (e anche il mercoledì pomeriggio dalle 15 alle 17) mi connetto con la mia classe, “apro” virtualmente la porta della classe e i bambini sono già li ad aspettarmi. Li saluto ad uno ad uno, entro nelle loro stanze, mi mostrano le loro cose come mai in questi anni hanno potuto fare; le mamme e i papà dialogano brevemente con me prima o dopo le lezioni, mi raccontano, mi chiedono o semplicemente si “affacciano” dallo schermo del pc o smartphone del figlio per un semplice saluto, e con loro prego e anch’io condivido non solo quello che in questi giorni i social media ci hanno abituati a chiamare Didattica a Distanza, ma la mia stessa vita in questi giorni di tragedia del coronavirus. La scuola è sì Didattica a Distanza, con i contenuti culturali di sempre che vanno però trasmessi in modo inedito, ma è soprattutto una relazione educativa e da 23 giorni chiusa in casa ne sperimento tutta la fatica quanto la bellezza.

Di colpo, in questi giorni costretti a non muoversi da casa e a rinunciare a tutto ciò che non sia essenziale per mantenersi in vita, ho pensato alla grandezza profetica delle nostre CC COMI: quell’ovunque (CC 9) siamo chiamate ad evangelizzare, mai mi è apparso così chiaro ed evidente; non scrive la regola uno specifico luogo, ma un ovunque che oggi attualizza il mio essere missionaria semplicemente imparando a fare la maestra elementare via web, dove i bambini, le famiglie e i miei colleghi di lavoro sono le persone che ho la gioia di incontrare e amare, attraverso un autentico mezzo di testimonianza evangelica e strada privilegiata che è l’attività professionale (CC 6) svolta con i modernissimi strumenti telematici sconosciuti alla sottoscritta 15 giorni fa.

Anche se la sera fisicamente sono stanca, faccio l’esperienza di una forza mai provata prima: è forse questa la forza e la dimensione profetica de la consacrazione di cui ci parla la CC 5 , che ci permette anche in un tempo così inedito della pandemia del coronavirus, di impegnarci nella costruzione della società …. a modo nostro, all’evangelica? Mi piacerebbe scoprirlo con voi!

Pina D.

 

Rosalba

Nei giorni scorsi sono dovuta andare al lavoro perché i Dicasteri Vaticani, essendo come i nostri Ministeri, non possono chiudere; tuttavia l’aggravarsi giornaliero della situazione ha fatto sì che da questa settimana andrò soltanto due volte a settimana e per il resto lavorerò da casa. Non vi nascondo che il fatto di dover prendere la metropolitana per recarmi al lavoro è fonte sempre di preoccupazione, e ancor di più  il recarmi a fare la spesa…, non avrei mai immaginato di dover fare due ore di fila…ma poi con il passare dei giorni si è fatto strada dentro di me un pensiero che mi sta guidando in questo tempo difficile per tutti, ed è il fatto che certo è importante seguire le regole, restare a casa, lavarsi le mani ecc.. ma non bisogna vivere tutto questo nella paura ma nell’amore, e questo lo devo decidere ogni giorno, quando mi alzo e affronto la nuova giornata. Il fortissimo momento di preghiera che il Papa ci ha fatto vivere ha confermato questo: non dobbiamo temere nulla, tutto concorre al bene di coloro che amano Dio.

E mi dà molto conforto vedere che la natura continua il suo corso, con la primavera che esplode e gli alberi fioriti: dovremmo imparare dalla natura a capire che a noi è chiesto solo di vivere la vita con insistenza e realizzare ciò per cui Dio ci ha chiamati all’esistenza.

Certamente non saremo più le stesse persone di prima se sapremo cogliere gli insegnamenti che questo tempo ci sta dando. Una delle cose che più mi colpisce andando al lavoro è vedere la piazza di San Pietro, sempre piena in ogni giorno dell’anno di turisti, completamente vuota, mentre ai margini del colonnato e lungo le vie adiacenti ci sono solo i poveri. Mai come adesso i poveri sono visibili. Penso che Dio ci sta parlando fortemente in tutto questo, è tempo di agire insieme, vivere la solidarietà, la condivisione, agire per il bene comune.

Rosalba R.

Dall’Oasi del Plata  (Argentina e Uruguay)

Anche in America Latina si è presentato il COVID19 e dal 13 marzo abbiamo cominciato con l’isolamento. In Argentina si vive la fase 1, mentre in Uruguay siamo passati alla fase 2, con una situazione di “quasi normalità”, cioè con la ripresa di alcune attività scolastiche e commerciali; dal prossimo 19 giugno anche con la celebrazione presenziale della messa.

Come tutti voi, abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di lavorare, d’incontrarci, di espressione e di vicinanza agli altri. È stato un buon allenamento per incontrare l’equilibrio tra il non perdere i punti forza e adattarsi alle novità. Per questo abbiamo usato tutti i mezzi a disposizione per comunicare tra noi, realizzare il nostro incontro di Oasi, per arrivare perfino, grazie alla disponibilità dei nostri fratelli Oblati, a fare il primo ritiro dell’anno, in collegamento anche con Monica, per mezzo di una video telefonata.

Alcune di noi hanno continuato il loro lavoro per mezzo di video telefonate con gli alunni e famiglie, riunioni di programmazione virtuali ecc.

L’isolamento non ha impedito di partecipare ad alcune iniziative di solidarietà. Così Veronica e Isabel hanno preso parte alla “olla popular” (La pentola popolare, comunitaria). Di cosa si tratta? Per la mancanza di risorse economiche, la gente si è organizzala spontaneamente, in differenti zone, mettendo in comune ciò che ognuno aveva per preparare un piatto caldo per le famiglie del quartiere. A questa iniziativa hanno collaborato parrocchie, istituzioni e anche lo stato e altri enti, con la distribuzione di pacchi di viveri.

D’altra parte, in questa settimana, Monica si è trasferita al Refugio San Eugenio, per mantenere una presenza e sostituire P. Sergio OMI, che è stato chiamato ad assistere la sua mamma ammalata gravemente.

A causa di tutto questo, non si è potuto avviare il Progetto del Comi ONG, nonostante le volontarie siano già pronte e desiderose di iniziare.

Ancora una volta abbiamo imparato un’altra lezione, o forse solo rafforzato certe convinzioni. L’amore non si ferma così come la vita. L’amore genera sempre vita e può contagiare per dare speranza, forza e significato a ogni piccolo gesto. Abbiamo anche imparato la necessità dell’altro, dell’incontro che anima e sostiene.  Voglia il Signore, che da questa esperienza, possiamo rinnovarci e sapere apprezzare e vivere tutti quei valori che danno colore e sapore all’unità e alla comunione a cui tutti aspiriamo, riflesso sempre della comunione con Dio.

Oasi del Plata

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